La fier(ezz)a dell’Est

da | Ott 22, 2024 | Nomadi

Quando nell’estate del duemilaventidue sono arrivato a Berlino, la prima cosa che mi sono trovato davanti è stata una manifestazione filorussa, organizzata da militanti di estrema sinistra, che scendeva per Otto-Braun-Straße. Il corteo terminò in Rosa-Luxemburg-Platz, di fronte al Karl-Liebknecht-Haus, sede del partito marxista Die Linke – come lo era stato della SED, il partito-stato della DDR – e alla Volksbühne, il teatro popolare. Insieme al retrostante archivio della Stasi, questo gruppo di edifici rappresenta uno spaccato del passato della capitale della Repubblica Democratica Tedesca. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratta di una testimonianza della ormai nota riluttanza da parte della popolazione tedesco-orientale ad assimilare i canoni occidentali; questo quartiere è invece perfettamente integrato nella condizione post-storica della Berlino riunificata: l’estetica e la toponomastica novecentesca della piazza si accompagnano tranquillamente alla presenza di un pub popolato da turisti americani e australiani ansiosi di non perdere gli eventi dei loro sport nazionali. La stessa Die Linke non ha più nulla a che vedere con le istanze di quello che fu il movimento operaio, dopo che la componente culturalmente occidentale del partito – più concentrata sui diritti individuali che sulle rivendicazioni economiche – ha prevalso sugli eredi della SED. Non che io stia dicendo nulla di nuovo: chiunque abbia trascorso anche poche ore a Berlino, si sarà reso conto di come questo non sia il posto adatto per trovare lo spirito della Germania orientale. In assenza di meglio da fare, sono andato a cercarmelo da solo. 

Salito su un treno della Deutsche Bahn, l’azienda ferroviaria federale, odiata dai tedeschi per la sua inaffidabilità, mi sono diretto a Naumburg, nel Sachsen-Anhalt. Questa città è famosa per il duomo dei Santi Pietro e Paolo, che unisce lo stile tardo romanico a quello gotico e ospita la statua della marchesa Uta di Ballenstedt, scultura venerata dai nazisti che ispirò a Walt Disney le fattezze della strega di Biancaneve. In questa città Friedrich Nietzsche trascorse l’adolescenza con la madre e la sorella dopo la morte del padre. Qui prestò anche servizio nell’esercito prussiano, che nel 1871 diventerà il perno dell’esercito imperiale, custode dell’eccezionalismo tedesco (Sonderweg) imposto da Bismarck alla politica estera del secondo Reich, fondato sulla corrispondenza tra l’interesse germanico e quello dell’intera umanità. Lo spirito prussiano, militarista e antiliberale, fu il perno ideologico dell’impero tedesco, il cui imperatore era sia Kaiser di Germania sia re di Prussia. Non a caso gli esponenti del movimento cultural-letterario della rivoluzione conservatrice, dopo il disastro della prima guerra mondiale, decisero di fondare sul prussianesimo la loro idea di Germania, prendendo a modello l’impero guglielmino e la monarchia prussiana che ne era alle origini. Fu proprio il timore dello spirito prussiano, nucleo valoriale dello stato che aveva perso la prima guerra mondiale e memoria idealizzata di quello che aveva perso la seconda, a spingere gli Alleati a compiere nel 1947 quello che sarebbe stato il loro ultimo atto congiunto: l’abolizione formale della Prussia, rimasta in vita fino a qual momento come Land del Terzo Reich. Il poeta brandeburghese Gottfried Benn, che della rivoluzione conservatrice era stato esponente, scrisse di desiderare la “eliminazione di ogni persona che nei prossimi cento anni dica prussianesimo o Reich”. Non solo, tutti i territori persi dalla Germania a causa del secondo conflitto mondiale – Slesia, Pomerania e Prussia orientale – erano prussiani, e furono quindi prussiani tutti quei 12 milioni di cittadini tedeschi espulsi dal governo polacco, spinti al di là del nuovo confine, segnato dai fiumi Oder e Neiße. Questa linea di demarcazione è stata riconosciuta dalla Repubblica Federale Germania solo nel 1990, un mese dopo l’unificazione. Io ci son stato, a Francoforte sull’Oder, oggi luogo di passaggio per i frontalieri polacchi e per quei tedeschi che si recano in Polonia ad acquistare merci orientali a basso prezzo, soprattutto dolciumi. Anche a Naumburg la tensione verso oriente è testimoniata dalla componente gastronomica: il piatto più comune nella città è infatti il borsch, la zuppa a base di barbabietole diffusa in tutta l’Europa nell’est.

Lasciata Naumburg, ho proseguito il mio viaggio verso lo Stato libero di Turingia, Freistaat Thüringen, il più meridionale dei territori acquisiti dalla Repubblica Federale nel ’90. Alle ultime elezioni europee il 30,7% dei suoi abitanti ha votato per il partito nazionalista Alternative für Deutschland, mentre il neonato Bündnis Sahra Wagenknecht, ramo orientale nazional-marxista di Die Linke recentemente distaccatosi, ha preso il 15% dei voti: questi risultati hanno confermato la Turingia, insieme alla vicina Sassonia, come culla del nuovo nazionalismo tedesco. L’AfD e il BSW sono così popolari nell’Est perché i suoi abitanti non accettano la condizione post-storica diffusa nella Germania occidentale. Secondo l’analista Luca Steinmann, a partire dal dopoguerra i partiti della Repubblica Federale “puntarono tutto sul presunto carattere regressivo dello Stato nazionale in quanto tale, rinnegando la nazione bismarckiana e parlando di identità postnazionale”, scommettendo così su un approccio antitetico al precedente sviluppo dello Stato tedesco,  e rifondandolo sui principi liberali della costituzione federale attraverso il Verfassungspatriotismus, il patriottismo della costituzione. Nelle idee della dirigenza occidentale, l’unificazione del 1990 avrebbe portato alla diffusione di questi valori anche nell’Est. Negli anni è però emersa una decisa resistenza da parte dei suoi abitanti all’occidentalizzazione, chi perché legato alla tradizione marxista, chi perché di idee conservatrici e neoprussiane. All’ingresso dei territori che avevano formato la DDR nella Repubblica Federale Germania, non è infatti seguito l’abbandono da parte della popolazione del germanismo politico e culturale: la contrapposizione antiliberale all’Occidente che, reinterpretata in chiave marxista, era sopravvissuta nella DDR. La dirigenza socialista aveva infatti recuperato l’idea del Sonderweg, intesa come eccezionalità storica della Germania fondata sulla Prussia, unica nazione giunta alla modernità senza abbracciare il liberalismo politico. Peter Feist, consulente di AfD e nipote del segretario della SED Erich Honecker, ricorda che ai tedeschi dell’Est il patriottismo è stato insegnato come un ideale storico della sinistra tradizionale, per il quale le guerre contadine, la resistenza a Napoleone e la rivoluzione del 1848 erano interpretate come lotte di emancipazione che avevano anticipato l’avvento del socialismo. 

L’ostilità tedesco-orientale nei confronti dell’Occidente, di matrice culturale, è stata acuita dalle differenze economiche che dividono l’Ovest della Germania dall’Est, dove il PIL pro capite arriva ad essere la metà che ad Amburgo. Questo si riverbera sulla qualità delle infrastrutture, a cominciare dai trasporti pubblici. Me ne sono accorto cercando di raggiungere Röcken, paese natale di Nietzsche e suo luogo di sepoltura. Il villaggio è infatti raggiungibile solo a piedi o in macchina, anche perché abitato dalle poche decine di contadini che lavorano i campi circostanti. Si sviluppa intorno alla canonica, di cui il padre era stato pastore, e accanto alla quale l’intera famiglia è stata sepolta: tre tombe, quelle di Nietzsche e della sorella Elisabeth di granito rosa, quella dei genitori di pietra ruvida. Dopo la riunificazione è stato costruito un piccolo museo nel retro della canonica e le tombe sono state ripulite, ma ai tempi della DDR, quando il nome di Nietzsche era stato rimosso dalla memoria collettiva per volere della SED, il luogo era ancora più desolato di oggi: Massimo Fini ricorda che negli anni Settanta si faceva fatica a rintracciare la tomba, interamente incrostata e coperta di felci, specchio della solitudine in cui Nietzsche aveva vissuto e della sua rimozione dalla memoria ufficiale. Addirittura, fino al 1961 nessuno aveva compiuto una trascrizione filologica dei manoscritti del filosofo tedesco, chiusi nel Nietzsche-Archiv di Weimar; quell’anno Giorgio Colli e il germanista Mazzino Montinari, grazie alla tessera del Partito comunista italiano di quest’ultimo, riuscirono a prendere contatto con le autorità della DDR e ad avere accesso alle carte. Il loro indispensabile lavoro – Montinari era l’unico al mondo a riuscire a decifrare la scrittura di Nietzsche a prima vista – portò alla pubblicazione dell’edizione scientifica delle opere di Nietzsche, edita in Italia da Adelphi e in tedesco da de Gruyter. La prima stanza sulla destra del Nietzsche-Archiv è oggi dedicata a Colli e Montinari.

Le carte di Nietzsche non si trovano più qui: sono state spostate al Goethe-und Schiller-Archiv. Dall’alto del colle su cui sorge, questo edificio domina Weimar. La città, probabilmente la più bella della Germania, ha subìto, dopo l’unificazione, un’opera di riqualificazione volta a valorizzarne il patrimonio artistico. É indubbio che la città offrisse molto materiale alla turistificazione: qui si trovano le case museo di Schiller e Goethe e la villa che fu di quest’ultimo, immersa nel Park an der Ilm, che ospita anche Haus am Horn, capolavoro del Bauhaus, stile architettonico di cui la città è patria; seguono la gigantesca Anna Amalia Bibliothek, il teatro nazionale e il museo della repubblica di Weimar. Il fenomeno soprammenzionato ha ovviamente causato un forte aumento del costo della vita, ma questa è la sua conseguenza usuale. Vi è un aspetto più interessante di quest’opera di musealizzazione: la maniera sprezzante nei confronti della popolazione dell’Est con cui è stata compiuta, quasi che quei luoghi andassero salvati dalla barbarie orientale alla cui mercé erano stati per quattro decenni. Atteggiamenti di questo tipo, tenuti dai tedeschi occidentali (Wessis) nei confronti di quelli orientali (Ossis) in seguito all’unificazione, sono tra le principali cause del risentimento che questi ultimi portano nei confronti del resto del paese e delle istituzioni federali. Ma sono anche l’ultima istanza delle divisioni che storicamente caratterizzano i tedeschi, il cui Stato nazionale è stato fondato da un uomo, Guglielmo I, che si sentiva prima re di Prussia che imperatore di Germania. Se l’identità più radicata in un territorio circoscritto è quella bavarese e quella anseatica è custode del mercantilismo tedesco, quella Ossi è oggi in ascesa ed è decisa a far valere le proprie ragioni. Questo carattere è costituito da vari elementi, che in determinati momenti sono usciti dalla porta per rientrare dalla finestra della storia tedesca: le identità locali sassone e turingica, l’antiliberalismo d’origine prussiana, la nostalgia della DDR (Ostalgie), una visione dello sviluppo della statualità tedesca libera dal senso di colpa. Nuclei valoriali ancorati allo spazio culturale e politico tedesco-orientale: quando vanno, prima o poi ritornano.

Bibliografia 

Gottfried Benn, Sul tema Storia (1959), in Lo smalto sul nulla, Adelphi, Milano, 1992

Giorgio Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano, 1980

Peter Feist, “Le radici dell’AfD sono nel patriottismo della DDR”, in Limes, 12/2018, Essere Germania

Massimo Fini, Nietzsche, Marsilio, Venezia, 2002

Luca Steinmann, AfD, il nuovo nome del nazionalismo tedesco, in Limes, 12/2018, Essere Germania

AA.VV., Deutschlandkarte zur Europawahl 2024, Tagesspiegel, 10 giugno 2024