Tragica e controvoglia: la ricerca di una riconciliazione nazionale

Il tema della coscienza nazionale italiana è molto complesso. La storia d’Italia è contraddistinta da tante fratture che hanno segnato il processo di costruzione di un sentimento nazionale. In Tragico controvoglia. Studi e interventi 1968-2022 – antologia di scritti che racchiude oltre sessant’anni di attività intellettuale – lo storico veneziano Mario Isnenghi ne individua alcune: i fatti di Bronte del 1860, il ferimento di Garibaldi sull’Aspromonte nell’agosto del 1862 e la breccia di Porta Pia del 20 settembre del 1870. A questi si aggiungono altri più tragici e destinati ad avere un impatto più duraturo nella memoria collettiva: la lotta al brigantaggio, Caporetto e la guerra civile del 1943-’45. Secondo Isnenghi, la storia italiana è intimamente tragica e puntellata da eventi fondatori traumatici. Nel dibattito pubblico, ancora oggi, questi sono fonte di accese discussioni e rinsaldano vecchie inimicizie. Gli anni passano, ma i vecchi rancori restano. Dal Regno alla Repubblica, l’Italia è stata lacerata da antagonismi e tensioni fra parti e controparti. La riconciliazione – sostiene Isnenghi – non dovrebbe essere con gli altri, ma con una storia d’Italia di cui gli altri fanno parte. Questa posizione è ampiamente condivisibile, ma apre molti interrogativi: da chi deve partire questo processo di riconciliazione? Chi si deve fare carico di questo: devono essere gli storici a occuparsene o è una faccenda che riguarda prettamente la politica?

Ricomporre le fratture provocate da un episodio tragico non è affatto facile. La tragedia, come ci spiegano i greci e gli studiosi delle tragedie greche, si dà quando due parti che si contrastano hanno entrambe ragione. La tragedia si verifica, dunque, quando lo scontro fra due polarità è incomponibile. Un esempio è la vicenda narrata nell’Antigone di Sofocle. Il nuove re di Tebe Creonte ordina con un editto che il corpo di Polinice, considerato un traditore, rimanga insepolto. Ma la sorella Antigone disobbedisce al decreto del re tebano per dare degna sepoltura alle spoglie del fratello, appellandosi alle leggi divine che impongono pietà per i morti. Il gesto coraggioso di Antigone sfida il potere di Creonte che non vuole concedere la sepoltura per motivi politici. Alle ragioni più evidenti della giovane Antigone, spinta nel suo nobile atto da motivazioni affettive e religiose, ci sono quelle meno evidenti, ma non meno importanti, di Creonte. La città e lo Stato hanno le loro prerogative, non a caso Hegel, a inizio Ottocento, vide dietro questo contrasto tra la giovane eroina e il re di Tebe il conflitto tra le esigenze della famiglia e quelle dello Stato.

Un’altra vicenda esemplare che riconduce al significato primigenio e più drammatico della tragedia è rappresentata dai fatti di Aspromonte. Siamo nel 1862, l’Italia è unita da solo un anno e hanno vinto i monarchici. Questi vorrebbero mettere idealmente fuori legge i repubblicani, i quali però hanno pensato l’Italia. L’Italia, è bene ricordarlo, è figlia di Mazzini e Garibaldi. Se il primo fu la mente dell’unificazione nazionale, il secondo fu l’uomo d’azione che la realizzò. A capo di qualche migliaio di volontari, l’eroe dei due mondi partì alla volta di Roma per scacciare Pio IX e annettere la città alla neonata nazione. Contro di lui e le sue truppe si mosse l’esercito regolare italiano, inviato dall’allora Presidente del consiglio Urbano Rattazzi. L’esercito del Paese che aveva fondato sparò a Garibaldi, che venne ferito ad una gamba e fatto prigioniero. Ci si potrebbe chiedere: potevano evitare di sparargli? Forse sì, ma il governo italiano voleva prevenire una possibile reazione da parte della Francia, che aveva impegnato truppe a difesa di Roma in accordo con il Papa. Questo portò allo scontro in Aspromonte, dove le forze italiane, nonostante Garibaldi fosse un eroe nazionale, aprirono il fuoco sulla sua colonna di volontari.

Questo episodio provocò una spaccatura significativa nella coscienza nazionale italiana. A pochi mesi dall’unità del Paese, due parti dello stesso si confrontarono armi alla mano. Lo stesso avvenne, ma in modo molto più lungo e cruento, tra il ’43-’45 durante la lotta di liberazione: fascisti da una parte e antifascisti dall’altra. La guerra che si combatté in quegli anni fu una vera e propria guerra civile, che vide contrapposti da ambo i lati degli italiani. Le violenze e le atrocità che si verificarono sono rimaste impresse nella memoria collettiva. Il dolore scaturito da eventi traumatici crea ferite che sono dure a rimarginarsi. Di questo ne era ben consapevole Nathaniel Hawthorne che nel suo celeberrimo testo La lettera scarlatta scrisse: “è insito nella nostra natura un dono meraviglioso e misericordioso, grazie al quale non comprendiamo sul momento l’intensità di quanto soffriamo, ma lo possiamo valutare solo più tardi, dalle tracce che la sofferenza lascia”.

La sanguinose contrapposizioni interne che hanno caratterizzato la storia d’Italia hanno provocato delle ampie fratture nel tessuto sociale nazionale. In modo particolare la guerra civile del ’43-’45 ha lasciato il segno più evidente e ancora oggi torna a far parlare di sé. La politica, lungi dal perseguire un programma di pacificazione, utilizza questa ferita ancora sanguinante per rinnovare la polemica. Dopo tanti anni di contrasti serve arrivare a una riconciliazione, ma pensare a chi può davvero operarla è cosa difficile a dirsi. Quando nella coscienza d’individuo si verificano degli eventi traumatici, spesso il singolo si affida a un percorso di terapia per affrontare e risolvere le lacerazioni lasciate dagli eventi dolorosi. Ma quando si guarda a una coscienza collettiva, chi può davvero offrire gli strumenti per riconciliare una storia conflittuale e tormentata?

La risposta non è semplice e sicuramente non può essere univoca. Allo stesso tempo, però, se non è così immediato individuare chi possa compiere questo lavoro, può essere più efficace comprendere chi potrebbe contribuire al suo perseguimento. Le figure più adatte possono essere gli storici. Per quale motivo? Perché lo storico è la figura che più di tutte ha una cognizione approfondita del passato e può, con la sua conoscenza, giocare un ruolo determinante nel raggiungere una riconciliazione tra le parti. Partendo dal presupposto che lo storico deve essere superpartes e nel proprio compito deve sempre essere interessato alla verità dei fatti, esso nondimeno può contribuire a dare avvio a una presa di consapevolezza e, di conseguenza, a un riconoscimento della conflittualità e tragicità della storia del Paese. Questa azione dello storico, che si può definire enzimatica, deve essere proseguita dalle istituzioni al fine di arrivare, una volta per tutte, a una vera riconciliazione che – come spiega Isnenghi – “non è con gli altri, ma con una storia d’Italia di cui gli altri fanno parte”. Sì, perché la storia italiana dal Regno alla Repubblica è fatta di parti e controparti che sono state protagoniste di molteplici tensioni e antagonismi. Se non si fa questo, il rischio – avverte Isnenghi – è quello di “rendere senza significato anche quella parte della storia collettiva di cui, sul piano personale, ciascuno di noi può maggiormente sentirsi discendente o parte”.

Lo spunto per questa riflessione sorge da un’osservazione del tempo presente, dove il dibattito politico è ancora infiammato dalle polemiche su queste vicende. In modo particolare la questione fascismo e antifascismo scalda gli animi e genera profonde tensioni. Questo dimostra come la situazione sia lontana dall’essere risolta. L’unico modo per riappacificarsi con quel periodo tragico sta nella volontà collettiva di comprendere quei tempi e le scelte dei suoi protagonisti. La tragicità di quello scontro, che vide contrapporsi italiani contro altri italiani, stava proprio in questo suo carattere di conflitto interno. Pur rimanendo un contrasto fondativo della nostra identità nazionale, dopo tutti questi anni serve riconciliarsi con questa storia conflittuale. L’unico strumento che può davvero tornare utile è la memoria. Strumento meno accomandante dell’oblio, questa permette di ricollegarsi con quei fatti e capire le ragioni che hanno portato molti cittadini fascisti e antifascisti a sostenere una causa piuttosto che un’altra. Se non c’è comprensione, c’è giudizio, e il giudizio divide e allontana. Per cogliere meglio il significato di una storia collettiva così dolorosa, serve guardare con occhi lucidi al passato. Una vera e propria riconciliazione nazionale può partire solo da una consapevolezza precisa di cosa è successo, senza rimozioni, edulcorazioni e giudizi.

Bibliografia

Mario Isnenghi, Tragico controvoglia: studi e interventi 1968-2022, Dueville, Ronzani, 2023

Claudio Pavone, Una guerra civile: saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.

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