L’epopea di Gilgamesh si apre con l’episodio del selvaggio Enkidu, creato dalla dea Araru come controparte del re di Uruk Gilgamesh, il quale rappresenta l’uomo civile. Enkidu vive in armonia con la natura finché non giace con Shamhat, mandata per civilizzarlo. Appagato dall’incontro con la donna, Enkidu torna nella natura selvaggia ma si accorge ben presto che la sua connessione con essa si è affievolita. Il selvaggio torna quindi da Shamhat, che gli racconta della città di Uruk, dove gli uomini non usano solamente la forza ma anche il cervello, e lo convince ad andare lì. Prima di arrivare nella città, però, Enkidu viene addomesticato: Shamhat gli fa mangiare pane e bere birra, e “il barbiere rasò il suo corpo villoso / unto con olio si trasformò in uomo”. Sebbene il legame tra città e civiltà, sottolineato dal testo così come dall’etimologia stessa della parola “città” (derivante dal latino civitas), sia un concetto evoluzionistico non più interamente condivisibile, ciò che appare chiaro è che la città non sia mai stata percepita esclusivamente come luogo fisico.
La città di Uruk (odierna Warka) di cui si parla nel mito è una delle città più antiche mai portate alla luce, considerata da molti la più antica conosciuta. I dati archeologici provenienti dai livelli V e IV rappresentano, infatti, le più antiche testimonianze di un’organizzazione sociale considerata di tipo urbano. Per questo motivo, quando si parla di rivoluzione urbana e della nascita delle prime città ci si riferisce in primis alla Mesopotamia (odierno Iraq) tra la fine del IV e gli inizi del III millennio BCE. Nasce così il quesito di quali siano i criteri per definire urbano un agglomerato e si sviluppa il dibattito sui processi attraverso i quali si è giunti all’urbanizzazione.
Un primo rilevante tentativo in questa direzione è l’articolo di Vere Gordon Childe The urban revolution, apparso nel 1950 sulla rivista “The Town Planning Review”. Forte è l’influenza dell’evoluzionismo, in quanto Childe spiega la nascita della città come il risultato della rivoluzione urbana, che avrebbe traghettato l’umanità da uno stadio di barbarism (identificato con il periodo dei cacciatori-raccoglitori) a quello di civilization. Forte è anche l’approccio diffusionista dell’autore, che vede come primarie solo le urbanizzazioni di Mesopotamia, Egitto, valle dell’Indo e America centrale, mentre le altre sarebbero sorte attraverso processi di diffusione. Childe propone dieci criteri per definire una città, tra cui la dimensione insediamentale, la specializzazione lavorativa a tempo pieno, la stratificazione sociale e la scrittura. Nonostante oggi l’approccio evoluzionista e quello diffusionista siano stati ridimensionati, Mario Liverani in Immaginare Babele. Due secoli di studi sulla città orientale antica sottolinea due meriti di Childe: la verificabilità archeologica dei dieci criteri proposti e la loro applicabilità a qualsiasi contesto storico, archeologico e sociale.
A partire dagli anni ’50, molti sono stati i tentativi di ridefinire il concetto di urbano e le proposte che ne sono nate sono sempre state legate alle scuole di pensiero cui facevano parte gli accademici.
Nell’articolo del 2013 The first towns in the central Sahara di David J. Mattingly e Martin Sterry, gli autori dimostrano come nel Sahara libico esisteva un network di insediamenti nelle oasi (datati fra il 300 BCE e il 500 CE) che, pur non rispecchiando i criteri tipici della Mesopotamia, possono comunque essere definiti urbani. Gli autori sottolineano come lo sviluppo in senso urbano delle civiltà non sia inevitabile e che le città possono presentarsi in modi diversi a seconda del contesto storico e geografico in cui sono inserite. Per quanto riguarda queste città-oasi nel Sahara, il ruolo del commercio sembra essere stato il fattore trainante della loro urbanizzazione.
Un altro articolo di notevole interesse è Introduction. The many dimensions of the “city” in early societies di Marcella Frangipane (2018). Il testo esplora la varietà nelle relazioni tra stato e città in diverse regioni e periodi storici, evidenziando le differenze nei modelli stessi di città. Le città variavano nelle dimensioni, nella popolazione, nell’organizzazione funzionale e spaziale, nelle caratteristiche delle aree pubbliche e di élite, nonché nel grado di opposizione tra l’identità cittadina e quella rurale. Tuttavia, l’autrice sostiene che sono le caratteristiche relazionali – come le differenze e interazioni interne, la concentrazione delle funzioni, l’integrazione di settori diversi e i legami con il territorio in una vasta rete di relazioni economiche e politiche reciproche – a costituire l’essenza stessa della città. La città viene quindi a presentarsi come una realtà dinamica.
Ciò che caratterizza le città non sono, pertanto, solamente i luoghi fisici ma soprattutto le interazioni sociali che influenzano gli abitanti, le quali hanno generato idee, tecniche, rivoluzioni e innovazioni. Questo si verifica anche oggi: contrariamente, infatti, alla tendenza in atto dalla metà del Novecento, solo negli ultimi anni ci si è resi conto che le reti sociali urbane non possono essere sostituite dalle reti sociali virtuali, e quindi le città sono tornate ad essere luoghi che attirano nuovi residenti, indipendentemente dall’auspicabilità o meno del fenomeno.
Per tornare all’epopea di Gilgamesh, il re di Uruk, accompagnato da Enkidu, ricerca l’immortalità: questo lo porterà al cospetto di Utanapištim, uomo che l’ha ricevuta dagli dèi dopo essere scampato al diluvio universale su un’arca insieme alla sua famiglia e mettendo in salvo le specie animali e vegetali. Gilgamesh capisce, però, che la morte è una condizione inevitabile. Questa ricerca, tuttavia, non è vana, perché come fa notare Ben Wilson nel saggio Metropolis. Storia della città, la più grande invenzione della specie umana: “Dopo le traversie della sua ricerca e il rifiuto della civiltà, [Gilgamesh] fa ritorno nella sua città e acquisisce finalmente la vera consapevolezza: i singoli individui sono destinati a morire, ma la forza collettiva del genere umano sopravvive attraverso gli edifici che costruiscono e la conoscenza che incidono su tavolette di argilla”. Se il primo numero di Sottosuolo è dedicato al tema della città è perché, forse, siamo eredi della lezione di Gilgamesh.
Bibliografia
Childe, V. Gordon, The Urban Revolution, in “The Town Planning Review”, 1950, n. 21.1, pp. 3-17
Frangipane, Marcella, Introduction. The Many Dimensions of the “City” in Early Societies, in “Origini”, 2018, n. XLII, pp. 13-24
George, Andrew (a cura di), Gilgamesh, Adelphi, Milano, 2021
Liverani, Mario, Immaginare Babele. Due secoli di studi sulla città orientale antica, Laterza, Roma-Bari, 2013
Mattingly, David J., Sterry, Martin, The First Towns in the Central Sahara, in “Antiquity”, 2013, n. 87, pp. 503-518
Mumford, Lewis, The City in History, Harcourt, San Diego-Londra-New York, 1961
Wilson, Ben, Metropolis. Storia della città, la più grande invenzione della specie umana, Il Saggiatore, Milano, 2021