Storia delle prime, nomadi, donne tatuate

Per la maggior parte di noi, la vita è associata al concetto di sedentarietà: abitiamo un determinato luogo dove risediamo stabilmente. Il nomadismo invece si definisce come una modalità di popolamento inversa che prevede un continuo dislocamento. All’origine era associato alla ricerca di pascoli, allo spostamento degli animali; nel nostro mondo questi bisogni sono spariti con l’agricoltura, l’allevamento e la tecnica, ma nella storia alcune pratiche hanno riscoperto questa organizzazione che sfugge a ogni definizione spaziale e radicamento, dove pure l’architettura acquisisce i tratti dell’istantaneità e dell’effimero: il circo.

I circensi rappresentano uno degli ultimi esempi di nomadismo, fin dalle origini costretti a spostarsi per cercare sempre un nuovo pubblico a cui presentare il proprio spettacolo. Seppur i circensi non siano un popolo, è inevitabile riconoscerne i tratti culturali e identitari per concepire il circo non solo come un lavoro, ma come un modo di condurre la propria esistenza. Di questo ne sono testimoni le prime donne tatuate dei freak show nei circhi: donne che si tatuavano per motivi di urgenza pratica, per vivere in libertà, lavorare come artiste e tagliare in via definitiva ogni legame con la società. Ciò che mi ha affascinato è proprio il paradosso della loro vicenda: quello che in un primo momento era un gesto sfrontato, ribelle, spregiudicato (il ricoprirsi di tatuaggi) in totale opposizione con quello che era il consenso collettivo dell’epoca, è diventato ciò che le ha rese uniche, e forse anche invidiate, per la loro libertà e diversità.

Siamo tra gli Stati Uniti e il Regno Unito quando nel XIX secolo nascono i freak show intesi come esibizioni di mostruosità umane. Il tendone del circo fornisce al visitatore uno spettacolo straordinario e allucinante in cui si esibiscono “mostri umani” in show teratologici come fenomeni da baraccone.

L’intramontabile curiosità per le deformità e il diverso, un misto di voyeurismo e compassione, produce un’eclatante vetrina in cui questi “diversi” venivano esposti per un pubblico di “normali” affamati di esotismi d’ogni genere, ai confini tra la fiera degli organi e il museo degli orrori. A girare le fiere d’Europa e d’America tra nani, giganti, obesi, gemelli siamesi, donne barbute, scheletri viventi, l’uomo elefante e altre anomalie, vi sono anche le tattooed lady. Un altro tratto che mi intriga di quest’ultime è la differenza sostanziale e, se vogliamo, filosofica che le pone rispetto agli altri freaks: mentre gli uni sono fisicamente anormali, perseguitati, sfoggiati e derisi per i loro tratti somatici, le donne tatuate scelgono di appartenere al mondo degli indesiderati e, per così dire, abbracciare il mostro con autentica passione. Le prime tattoed lady si tatuavano con tutti i sacri crismi dei misteri, cambiando sia il loro aspetto che la loro storia personale. Marcavano l’importanza della scelta presa, da cui non si torna indietro, con l’appropriazione dolorosa del proprio corpo e l’autodeterminazione.

A giudicare dalla loro successiva fama, dalla diffusione delle immagini e la vita itinerante, si può affermare che le tattooed lady siano le prime dive contemporanee, come icone da contemplare, sante con le stigmate. Non a caso, prima di essere sostituita in epoca contemporanea dal tahitiano tatau, la parola con cui i greci indicavano le marchiature indelebili sul corpo dei barbari o sui prigionieri di guerra era stigma.

Interessante è come in Inghilterra in un primo momento si tatuassero donne delle classi sociali più elevate, le decorazioni indelebili sul corpo erano come gioielli permanenti. Solo quando la pratica prese piede in ambito circense il tatuaggio cominciò ad essere associato agli outsider spingendo le élite ad abbandonarli.

La prima generazione di donne occidentali tatuate aveva tatuaggi integrali, compresi fra l’incisura giugulare, i polsi e le caviglie. Erano tutti fatti a mano, un punto alla volta. I colori erano limitati ad un blu-nero, l’India Blue, e a un rosso tendente all’arancio, il China Vermilion.

Gli uomini tatuati si esibivano nei circhi già dagli anni Quaranta, mentre per le donne l’anno di svolta è stato il 1882. La comparsa negli show delle prime donne tatuate è associata a due pioniere apripista, Irene Woodward e Nora Hildebrandt, quelle a cui sono stati dedicati i primi articoli sulla stampa.

Il debutto di Irene Woodward avviene a New York nel marzo del 1882, presso il dime theatre di George Bunnell. Il costume che indossa, con le caviglie e le ginocchia scoperte, è scandaloso per l’epoca, ma essendo lei una performance artist le era concesso mostrare e fare un uso del suo corpo molto più vario e radicale rispetto alla media.

Il volantino promozionale di Irene racconta che la ragazza è cresciuta nel Far West assieme al fratello e al padre. Proprio il padre è indicato come fautore del suo total body, che allo scopo di dissuadere i nativi americani dal rapirla l’ha coperta di tatuaggi. Il volantino asserisce che il padre, dopo aver tatuato anche il fratello, è stato ucciso dai nativi, i quali però, spaventati dai tatuaggi, hanno risparmiato i figli. Queste storie venivano raccontate per creare una mitologia attorno alle arcane figure delle donne tatuate, ma la realtà è molto più prosaica: Irene nasce a Philadelphia, suo padre fa il calzolaio, i suoi numerosi fratelli muoiono in giovane età, così come muore anche la madre. Irene vede l’esibizione dell’uomo tatuato Captain Constentenus, e capisce che la sua unica via d’uscita è scappare col circo. Fu tatuata da Samuel O’Reilly e dopo il debutto la sua carriera continua al Globe Dime Museum sulla Bowery. Sposa un uomo di spettacolo, George E. Sterling con cui avrà un figlio. Insieme lavoreranno più di 15 anni al circo. Irene Woodward è conosciuta in Europa come la Belle Irene. A fine carriera si ritira nella sua città di origine e muore a 59 anni, per un cancro all’utero, ma neanche la sua morte fu priva di sensazionalismo. Si dice che un giornale dell’epoca abbia affermato, alla sua morte, che «il veleno cagionato dai tatuaggi che aveva le ha logorato tutto il corpo».

Fisico tarchiato, lineamenti spigolosi e occhi gelidi, Nora Hildebrandt nasce a Londra nel 1857. Emigrata in America, fa la serva per molti anni. Il destino le fa incontrare un misterioso uomo di origini germaniche, forse un ex marinaio della marina tedesca, che fa una vita da nomade lungo la East Cost e si mantiene grazie ad una strana arte. Martin Hildebrandt, uno dei primi tatuatori documentati nella storia d’America, nel corso della sua carriera tatua migliaia di marinai e soldati.

Nora inizia a frequentarlo e si fa tatuare integralmente per intraprendere la professione nei dime theatre e nei circhi. Spesso veniva presentata come la figlia di Martin, e pure su di lei si narravano storie fittizie, come quella che i suoi 365 tatuaggi fossero stati fatti uno al giorno per un anno mentre era legata a un albero torturata dai nativi americani e da Toro Seduto. Il suo debutto come donna tatuata avviene sempre nel 1882, nella medesima città di Irene Woodward. I suoi dagherrotipi promozionali la ritraggono vestita in biancheria di merletto e stivaletti stringati, mentre assume pose leggiadre che riflettono l’immagine idealizzata che aveva del suo corpo tatuato. Anche Nora fa un trionfale tour europeo e in Messico. Oltre che suo mentore, amante e primo marito, Martin Hildebrandt diventa anche suo martire quando Nora firma per farlo internare in manicomio. Che Martin sia sempre stato instabile o che la donna abbia un amante più giovane non si sa, ma cinque anni più tardi, Martin muore al New York City Asylum, mentre Nora mantiene il suo cognome e si risposa con un barbiere tatuato che inizia ad esibirsi con lei. La carriera della tattooed lady si conclude con una morte prematura a 36 anni.

Ciò che crea veramente scandalo e stupore delle loro vicende, non sono le loro storie commerciali di soprusi e rapimenti, neanche l’ostentazione dei loro corpi, motivi in realtà che spingevano il pubblico a pagare il biglietto, ma la condotta sociale e l’indipendenza di queste donne, scevre da ogni incasellamento o ruolo di genere: fuori da ogni canone, orgogliose e senza vergogna. La loro vita itinerante e il mondo dello spettacolo non le ha mai relegate in casa, e a me piace anche ricordarle così, piene di abilità, coraggio e, in un’epoca dove rivoluzioni e femminismo sono ancora lontani, emancipate.

ALTRI ARTICOLI